lunedì 19 marzo 2012

Burocrazia 2.0

Spettabile Redazione,

ho letto il comunicato stampa dell’Agenzia delle Entrate che chiarisce la deroga per i pagamenti in contanti superiori a 1.000 euro effettuati da turisti e, già profondamente amareggiato per la pletora di obblighi che affliggono il nostro sistema tributario, scopro con orrore che l’applicazione di tale deroga comporta un’ulteriore comunicazione preventiva, nonché una serie di formalismi abbastanza contorti.
Qualcuno si rende conto che questo Paese ha nel turismo estero una delle sue grandi fonti di introiti?
È evidente che commercianti e albergatori situati nei luoghi italiani a grande vocazione turistica dovranno comunque inviare la preventiva comunicazione: meglio prevenire, vuoi mai che qualche turista extra-comunitario, ad esempio di nazionalità cinese, si presenti con una mazzetta di banconote fruscianti.
Se non si è provveduto alla comunicazione, si rinuncia, sia pure a malincuore, all’affare.
A comunicazione avvenuta, il negoziante deve comunque sperare che il turista straniero non pretenda di pagare in contanti poiché, nel malaugurato caso in cui ciò avvenga, è necessario spiegare al cliente cinese, giapponese, filippino, statunitense o altro, che:
- deve permettere al negoziante di acquisire una fotocopia del suo passaporto (vorrei vedere quale turista italiano permetterebbe ad uno sconosciuto negoziante di Suzhou di fotocopiare il proprio documento d’identità);
- deve rilasciare debita autocertificazione atte
stante che non è cittadino italiano, né di altro Paese comunitario e che è residente al di fuori del territorio dello Stato.
Superati l’imbarazzo, le difficoltà linguistiche e la faccia sconcertata del cliente, e ottenuti i documenti, non resta che votarsi al proprio Santo protettore affinché, il giorno successivo non festivo, non sopravvenga qualche imprevisto di qualsivoglia natura che impedisca di versare il contante in banca, altrimenti saranno certamente previste folli sanzioni.
Dimenticavo: sarà necessario custodire gelosamente in cassaforte due copie del documento di identità del cliente, di cui una da allegare necessariamente al versamento. Guai a smarrirle.
Fatto quanto sopra, si può dormire sonni tranquilli certi che, in caso di un eventuale controllo, l’Agenzia delle Entrate, mediante i potenti mezzi a sua disposizione (forse una rogatoria internazionale al Fisco cinese), potrà sicuramente accertare la correttezza dell’operazione, verificando che il signor Yuang-Po-Ti, residente a Xi’an in via Nang Chiang Xiang n. 32, è cittadino cinese, che in data 4 aprile 2012 ha soggiornato in Italia per motivi turistici e ha acquistato presso il tal esercizio commerciale beni o servizi per 1.200 euro, pagandoli in contanti.
Consiglio a tutti gli esercenti di affiggere all’entrata dei locali un debito avviso in dieci lingue, in cui si avverte il cliente extra-comunitario che, se non vuole essere assoggettato ad una procedura umiliante e tipica di uno Stato di polizia, paghi con carta di credito con buona pace di tutti.
Più che una deroga, sembra un ulteriore passo avanti nella follia della burocrazia fiscale.

domenica 7 novembre 2010

L'informazione siamo noi

"Chi aveva lavato il cervello dei nostri connazionali quando in massa premiavano alle urne ceffi ignobili della posta di Cossiga, Gava, Cirino Pomicino, De Michelis, De Lorenzo, Andreotti, De Mita, e la loro accolita di vassalli laidi o criminali? Berlusconi a quei tempi era ancora alle prese con la sua Tv condominiale via cavo a Milano 2, non c’entra. Era un’Italia migliore quella? Per caso il Corriere o la RAI erano il Times e la BBC a quei tempi? L’Idra di Tangentopoli, col suo ventre molle di corruzioni endemiche in ogni anfratto del Paese, non fu il parto di “quindici anni berlusconiani”, ahimè no, non risulta. Le stragi, la svendita dei sindacati, dei servizi pubblici, della certezza del lavoro, e ancora l’Irpinia, l’IRI e le sue voragini, le devianze del sistema  giudiziario, l’omertà a vuoto pneumatico di tutto il Sistema-potere pre e post P2 e cinquant’anni di cronica evasione a tappeto, dimostrano che obnubilati nel cervello e nel senso civico lo siamo sempre stati, prima di Berlusconi, durante, e lo saremo dopo purtroppo. E anzi: la cosa più onesta che possiamo fare è di affermare una volta per tutte che la famigerata Casta e le sue grottesche comparse sono solo un’ombra sul muro di ciò che noi italiani siamo e siamo sempre stati. Nulla di più."


Paolo Barnard

venerdì 29 ottobre 2010

Funeral for a Friend




Non li ho mai capiti i funerali fatti col rito cattolico, gli americani sono più furbi di noi anche in questo. Cioè cazzo già uno è triste che è scomparsa una persona cara e già che ci siamo, massì, deprimiamola ancora di più con lamenti e litanie odiose. E' come andare da un amico appena lasciato dalla morosa e dirgli "dai, guardiamoci insieme tutto l'album di foto di quando eri con lei".

giovedì 28 ottobre 2010

Telefonia fissa.

La telefonia fissa serve solo per farti chiamare da nonne ultrasettantenni e da rompicoglioni con offerte pubblicitarie.

Gay marriage.

Nessuno crede più al matrimonio. Solo i gay, perché non possono sposarsi.

mercoledì 20 ottobre 2010

Cara Televisione dacci la nostra ansia quotidiana - Repubblica.it

L'INCHIESTA

Cara Televisione
dacci la nostra ansia quotidiana

Dalla Franzoni a Sarah Scazzi, la cronaca nera è il piatto forte dei nostri tg, un serial infinito che intreccia lo show del dolore e la caccia al colpevole dal divano di casa. Una tendenza che fa dell'Italia un caso unico in Europa

di ILVO DIAMANTI

La tragedia privata di Sarah Scazzi, esibita in pubblico in tv da "Chi l'ha visto?" e proseguita su "Linea notte", mercoledì scorso, ha sbancato l'auditel. Oltre 4 milioni di spettatori. Un trionfo di pubblico e di critica. Nonostante le polemiche violente.

Il delitto della giovane Sarah Scazzi ha suscitato sgomento. Per come è stato consumato. Ma anche per come è stato scoperto e comunicato. In diretta tv, presenti - e protagoniste - la madre, la zia e la cugina (di Sarah). Rispettivamente: moglie e figlia dell'assassino. A casa dell'assassino. La novità è che lo spettacolo del dolore, stavolta, non solo è avvenuto in diretta. Ma è stato predisposto prima - per quanto in modo inconsapevole. I protagonisti della tragedia erano presenti sulla scena del crimine, davanti alle telecamere. "Prima" del colpo di scena.

Così questa tragedia privata, esibita in pubblico, trasmessa da "Chi l'ha visto?" e proseguita su "Linea notte", mercoledì scorso, fino a notte inoltrata, ha sbancato l'auditel. Oltre 4 milioni di spettatori. Facendo balzare lo share, in pochi minuti, dal 10% al 33%. Un trionfo di pubblico e di critica. Nonostante le polemiche violente. Perché, comunque, si sono marcati nuovi limiti nella corsa al "reality show" senza limiti. Recitato da attori involontari, che avrebbero rinunciato volentieri alla parte e, soprattutto, al soggetto. Ma proprio per questo più gradito al pubblico. Alla ricerca costante di emozioni forti. Di tragedie consumate in ambito familiare, amicale, locale. In Italia più che altrove. Perché da noi la criminalità costituisce un genere televisivo di successo, che occupa uno spazio specifico e ampio - anzitutto nei notiziari.

I DATI DELL'INDAGINE 1

Lo confermano i dati dell'Osservatorio Europeo sulla Sicurezza (di Demos, Osservatorio di Pavia e Unipolis). Visto che, nel primo semestre del 2010, il Tg1 ha dedicato ai "fatti criminali" 431 notizie: circa l'11% di quelle presentate nell'edizione di prima serata. Uno spazio maggiore rispetto a quello riservato allo stesso tipo di notizie dagli altri principali notiziari (pubblici) europei. In dettaglio: l'8% la BBC, il 4% TVE (Spagna) e France 2, il 2% ARD (Germania). Va precisato, per chiarezza, che il tasso di crimini in Italia non è superiore a quello degli altri Paesi europei considerati. Semmai, un po' più basso. E aggiungiamo, per correttezza, che il TG5 mostra un andamento pressoché identico al TG1. Da ciò l'impressione - e anche qualcosa di più - che il crimine costituisca una passione mediatica nazionale. D'altronde, come abbiamo già mostrato altre volte, in queste pagine, c'è un legame stretto, in Italia, tra la percezione sociale e la rappresentazione mediale. Occorre, peraltro, evitare di ricondurre alla politica la responsabilità intera - comunque, prevalente - di questa tendenza. La politica, sicuramente, c'entra, visto l'intreccio inestricabile che la lega ai media e soprattutto alla televisione, pubblica e privata. (E l'enfasi sulla criminalità aiuta, certamente, a contenere la crescente preoccupazione sollevata da altri problemi. Per primo: la disoccupazione).

Tuttavia, vi sono altre importanti ragioni dietro all'irresistibile attrazione esercitata dai fatti criminali nella società italiana.

In primo luogo: le logiche "autonome" che regolano la comunicazione. In particolare, la televisione. Che, in Italia, affronta questa materia in modo diverso rispetto agli altri Paesi europei. Basta vedere la densità e la frequenza di questi avvenimenti. In Italia, i fatti criminali occupano uno spazio quotidiano sui telegiornali. Anzi, ogni giorno, in ogni edizione, vengono loro dedicate numerose notizie. Nulla di simile a quanto si osserva nelle altre principali reti europee. Le quali, peraltro, affrontano questi eventi in modo "puntuale" e "contestuale". E, dove è possibile, li tematizzano. In altri termini: l'informazione televisiva, nelle altre reti europee, è limitata, nel tempo, all'evento e ai suoi effetti. Inoltre, se possibile e utile, diviene occasione per affrontare problemi sociali più ampi. L'integrazione degli stranieri, la violenza nelle scuole, l'intolleranza interreligiosa. In Italia ciò avviene raramente. Soprattutto nel caso degli immigrati o di altri gruppi marginali, come i Rom. Con l'effetto (non involontario) di confermare il pregiudizio nei loro confronti. Invece, la regola, nella comunicazione e nei media italiani, è la "serializzazione". Oltre alla "drammatizzazione".

I crimini, cioè, non solo hanno uno spazio quotidiano, ma vengono trattati - e sceneggiati - come fiction. Da un lato, i "serial tematici" associano delitti e violenze simili: per ambiente, responsabilità, reato. Così, periodicamente, assistiamo a sciami di stupri, cani assassini, chirurghi criminali. Che all'improvviso, come sono arrivati, scompaiono. D'altro canto, e soprattutto, l'Italia è il Paese dei "grandi casi criminali" che non finiscono mai. Seguiti dai media che indagano, celebrano e riaprono i processi, sentenziano. Durano anni e anni. Dal 2005 ad oggi, i 7 telegiornali nazionali, in prima serata, hanno dedicato: 941 notizie al delitto di Meredith Kercher Perugia, 759 a quello di Garlasco, 538 all'omicidio del piccolo Tommaso Onofri, 499 alla strage di Erba. Avvenuti 3-4 anni fa. E, ancora, 508 notizie all'omicidio di Cogne, che risale a dicembre 2002.

Otto anni dopo, nel primo semestre del 2010, i telegiornali di prima serata gli hanno dedicato oltre 20 notizie. Si tratta di casi accomunati da alcuni elementi. Maturano in contesti familiari. Figli che uccidono i genitori. E viceversa. Oppure: si verificano nell'ambito del vicinato (come a Erba), delle relazioni amicali e di coppia (come a Garlasco), tra giovani. In ambiente universitario (Perugia). Insomma: si tratta di "casi comuni". Che ci coinvolgono tutti. Come se i fatti avvenuti potessero capitare anche a noi. O, comunque, a persone amiche e conosciute. È il voyeurismo che contrassegna una società locale e localista. Questo Paese di paesi e di compaesani (come lo definisce Paolo Segatti), dove la tv contribuisce a perpetuare l'immagine della "comunità". D'altronde, questi eventi tracimano oltre i telegiornali. Invadono i programmi di infotainment. I contenitori pomeridiani. I salotti di tarda serata. Primo - e più importante - "Porta a Porta". Dove Bruno Vespa allestisce, periodicamente, la sua corte, affollata di avvocati, criminologi, psicologi, psichiatri, vittime, parenti delle vittime e, talora, (presunti) assassini. Questa attrazione per il "crimine" costituisce, appunto, uno specifico italiano. Una "passione" che ha radici lontane: nella letteratura, nel teatro, nel cinema. (A cui, non per caso, l'Università Sorbonne Nouvelle - Paris 3, la prossima settimana, dedicherà un seminario).

Il "fatto criminale", in Italia, sui media non è guardato come "esemplare" rispetto ai problemi della società e delle istituzioni. Ma come "caso in sé". "Singolare". Il che ci fa sentire coinvolti eppure distaccati. Noi: detective, magistrati, giurati. E, in fondo, vittime e assassini. Ciò spiega lo spazio dedicato in tivù alle grandi tragedie quotidiane e ai delitti di ogni giorno. Ma anche il successo di pubblico che ottengono. Perché generano angoscia ma, al tempo stesso, rassicurano. Ci sfiorano: ma toccano gli "altri". È come sporgersi sull'orlo del precipizio e ritrarsi all'ultimo momento. Per reazione. Si prova senso di vertigine. Angoscia. Ma anche sollievo. E un sottile piacere.

martedì 12 ottobre 2010

Classifiche.

Io non so chi dia i soldi - e chi perda tempo - a stilare le ormai immancabili classifiche su quali paesi siano meglio di altri in determinati campi, ma nel caso riportato nel link sopra, bè, mi vien da pensare solo una cosa: gli autori della ricerca preferirebbero mandare a vivere loro figlia in Mozambico o in Botswana piuttosto che in Italia? Non fa una piega.

Il dolore che ci piace.

Perché il calcio è seguitissimo in tv? Perché piace, ci stacca un po' dalla realtà e magari permette pure di sfogarsi insultando uno schermo. I giochi a quiz perché sono molto seguiti? Perché piacciono alla gente naturalmente. Magari spingono ad immedesimarsi nel concorrente, pensando cosa avremmo risposto noi al suo posto. Per non parlare dei film, delle soap, ecc. Ma alla fine cosa ci piace più di qualunque altra cosa? Il dolore altrui, le tragedie e il male di cui è capace l'uomo. C'è poco da fare i moralisti, che si tratti della povera Sarah Scazzi, che si tratti dei funerali in diretta di qualche militare morto, che si tratti dell'attentato dell'11/09, tutto questo ci piace. Altrimenti non lo guarderemmo con quella curiosità morbosa che la gente fa finta di non avere, ma che fa inevitabilmente impennare gli ascolti tv.

sabato 9 ottobre 2010

Nuovo Cinema Paradiso

Di sicuro mia nonna non avrebbe interrotto la visione a metà.

Bruciamo i libri.

"Sostenere un lungo avvenire per il libro non significa negare che certi testi di consultazione siano più comodi da trasportare su una tavoletta, che un presbite possa leggere meglio un giornale su un supporto elettronico dove può amplificare il corpo tipografico a piacere, che i nostri ragazzi possano evitare di inrachitirsi portando chili di carta nello zainetto. E neppure si vuole sostenere a ogni costo che per leggere "Guerra e pace" sotto l'ombrellone sia più comoda la forma-libro; io ne sono convinto, ma i gusti sono gusti, e auguro solo a chi ha gusti diversi di non incappare in una giornata di blackout. Ma la vera ragione per cui i libri avranno lunga vita è che abbiamo la prova che sopravvivono in ottima salute libri stampati più di cinquecento anni fa, e pergamene di duemila anni, mentre non abbiamo alcuna prova della durata di un supporto elettronico. Nel giro di trent'anni il disco floppy è stato sostituito dal dischetto rigido, questo dal dvd, il dvd dalla chiavetta, nessun computer è più in grado di leggere un floppy degli anni Ottanta e quindi non sappiamo se quanto c'era sopra sarebbe durato non dico mille anni ma almeno dieci. Quindi, meglio conservare la nostra memoria su carta. "

Umberto Eco

E questo sarebbe uno dei più grandi intellettuali italiani? Dimentico sempre come il maggior problema dell'Italia siano i vecchi rimbambiti che non vogliono lasciar spazio alle idee dei giovani.

giovedì 7 ottobre 2010

Meglio dopo che prima.

Non per fare il cinico, ma nella tragedia di Sarah l'unica cosa che poteva andarle peggio era essere violentata prima di morire. Almeno quello se l'è evitato.

martedì 5 ottobre 2010

Utero o pentolone?

E' strano come la Chiesa si preoccupi tanto di una manciata di cellule, come se potessero pensare, agire, provare dolore, mentre per persone in carne ed ossa non abbia capacità di ascolto. Cambia così tanto nascere in un utero piuttosto che in un pentolone? Cambia così tanto se la tua vita l'hai passata con una famiglia che ti ha desiderato e amato?

Del resto senza Edwards oggi ci sarebbero 4 milioni di persone in meno su questo pianeta, felici o infelici che siano, come ognuno di noi. Fa così schifo aver 4 milioni di anime in più?

Quando l'ideologia vince sulla realtà.

La casuistica di Fisichella per “guardare a cose più importanti” (quali?) - [ Il Foglio.it ]

Non contestualizzare il nome di Dio invano

Dovendo nientemeno rievangelizzare l’occidente intero, per il momento monsignor Salvatore detto Rino Fisichella pare faticare anche alle prese con un qualsiasi bar sport paraistituzionale. Così – siccome al Cav. a volte scappa una parolina, una volta una parolaccia – il prelato ha elaborato l’innovativa teoria della “contestualizzazione” della bestemmia, pudicamente nominata “contestualizzare le cose”. E se le cose sono una schifezza? Per dire: per strada, in un attruppamento di militanti e militari, se sei il capo del governo, vabbé, discutiamone… E quando scappa ai calciatori in campo? E quando sfugge in un corteo di facinorosi? E quando s’insinua nella riflessione di un precario a fine mese? E’ la più singolare sortita dai giorni del concilio di Nicea, probabilmente. Una roba che sta persino una tacca sopra il sempreverde “utilizzatore finale”di ghediniana memoria – che almeno lì, in un parapiglia mandrillesco-giuridico, non ci finiva di mezzo la figura del Padreterno (cioè, del Padreterno vero, non di quello fittizio e governativo). Ora, se una simile proposta fosse stata avanzata  da un comico o da un giornalista o da un cristiano rinato (per il quale sarebbe stato opportuno un bis della rinascita stessa), avrebbe giustamente destato scandalo – ché scandalo, per un qualunque credente, e possibilmente anche per un qualunque non credente, dovrebbe essere la bestemmia del nome di Dio.
Neanche per una martellata sulle dita, neanche se il Cav. dovesse vincere le prossime dieci elezioni, nemmeno se sei del Pd e guardi il Tg di Minzolini. Un civile “vaffanculo” (che ha del resto subìto una certa regressione sociale da quando Grillo ne ha fatto urlo di piazza) come un fraterno “stronzo” o un colloquiale “coglione”, ci possono anche stare: sono termini che ha ormai sdoganato persino Raiuno in prima serata, figurarsi che impressione potrebbero fare in Paradiso, dove peraltro hanno una programmazione migliore e un più spiccato senso dell’umorismo. Ma nominare il nome di Dio (e manco invano, ma con suino accostamento), e poi cercare sciascianamente di trovargli un (in)decente contesto, questa è una roba che uno non si aspetta nemmeno da un alcolizzato ateo maremmano atterrato da una mandria di cinghiali impazziti, altro che da un vescovo di spiccata cultura, di tonaca sempre ben stirata, di elevata partecipazione alle trasmissioni di Bruno Vespa (dove pure alcune orribili tentazioni, in alcune anime prave, certe sere potrebbero farsi strada).
Ora, sarà il fatto del fitto discutere del monsignore stesso con Adornato intorno a “fede e libertà”, magari il lungo servizio quale cappellano di Montecitorio, oppure la guida di pellegrinaggi con truppe di eletti (di destra, sinistra e centro), montati su appositi torpedoni come quello in Russia: tutti eventi che chiedono un rinsaldamento della fede per poter essere cristianamente affrontati – altrimenti, si fatica a capire come un vescovo di così chiara intelligenza e di così impeccabile look possa essere arrivato a formulare una simile teoria, che forse neanche al più incallito mangiapreti (che a volte, per farlo, serve stomaco forte e lunga digestione) sarebbe venuta in mente. E’ un generoso principio, quello del “contestualizzare le cose” – dipende, ovviamente, dalle cose. Persino Formigoni, per dire, si è tenuto cauto. Ora, il Cav. ha spiegato il suo punto di vista, “non è né un’offesa né un peccato, è solo una risata”, e vabbé: come se san Tommaso si volesse occupare del Bagaglino. Monsignor Fisichella si è fatto, invece, esortativo – come la funzione invita e il ruolo spinge, “guardare a cose più importanti”. Un saggio ammonimento: curioso, però, che un vescovo ne abbia trovate – di cose più importanti.
di Stefano Di Michele La giornata ]